venerdì, dicembre 22, 2006

La Sindrome di Selye

Avevo trentacinque anni, lavoravo per una multinazionale che operava nel campo delle comunicazioni, ero già sposato con due figli, un maschio ed una femmina, amavo mia moglie e lei amava me , avevo una donna che due volte alla settimana ci aiutava nelle faccende domestiche, avevo un cane ed un gatto, una bici, una taverna con palestra, un prato verde, una macchina famigliare ed avevo un piccolo mutuo da estinguere nel giro otto anni. Avevo anche una vita normale fino al giorno in cui mi diagnosticarono la Sindrome di Selye .

Soffrivo da qualche mese di piccoli disturbi di gastrite e nonostante la mia reticenza mia moglie mi costrinse ad un consulto clinico.

I sintomi ed i risultati dei controlli, frutto delle numerose analisi che mi erano state prescritte, non lasciarono dubbi, la diagnosi veloce quanto incontestabile, come la sentenza definitiva di una corte suprema, mi pose dinnanzi al mio stato di malato senza lasciarmi possibilità di replica.

Come mi era stato caldamente consigliato, mi risolsi ad andare a visita presso lo studio del Dot. Morphe . Lo sguardo intelligente, che mi accolse sollevandosi sopra la piccola montatura degli occhiali posati sulla punta del naso, mi ispirò immediatamente un'incondizionata fiducia e gli affidai la mia vita.

Insigne studioso, insegnante di psicologia all’università di Padova e autore di autorevoli testi sulle malattie psicosomatiche si era stabilito da qualche tempo a Milano e riceveva nel suo studio privato due giorni alla settimana: il venerdì e il lunedi’, giorni che divennero per me un appuntamento fisso per diversi mesi.

Mi spiego sin da subito , in un linguaggio tutt’altro che tecnico, gli effetti e le cause del mio male. In sintesi io avevo una tendenza a somatizzare, causata da un' incapacità di dissipare lo stress che anche una vita “normale” produce.

La terapia che mi fu prescritta non contemplava uso di farmaci e apparentemente non poteva essere classificata come terapia invasiva.

Il Dr. Morphe aveva parlato chiaro:

Se intende guarire lei deve ad ogni costo essere felice, deve vedere il mondo in maniera positiva, deve amare le persone che la circondano evitando sentimenti di rabbia, di rancore, di odio e deve eliminare dalla sua persona qualunque sentimento negativo.

Qualche tempo dopo, per l’acutizzarsi dei sintomi, la patologia si palesò chiaramente anche ad un profano quale sono io. Ogni piccola emozione aveva una conseguenza immediata sulla stabilità della mia salute.

La mia malattia, a detta anche del professore che mi aveva in cura, si manifestava pero’ con degli effetti un po’insoliti che la allontanavano dalla definizione della prima diagnosi.

Si trattava di una caso unico, che meritò persino la pubblicazione di un intero trattato su “Modus vivendi”, un rinomato periodico di medicina psichiatrica.

Il somatizzare si concretizzava come una traduzione letterale della causa scatenante. Mi spiego meglio: se per caso vivevo una giornata particolarmente eccitante la sindrome mi procurava un imbarazzante erezione che spesso durava per giorni, se incontravo una persona particolarmente antipatica -una di quelle che fanno proprio cagare - ero costretto ad un uso spropositato di Dissenten per contenere la diarrea che ne derivava, dovevo anche evitare le persone particolarmente divertenti per il rischio di morir dal ridere.

In questo contesto seguire la terapia non era quindi di grande utilità; forzare la mia visione ad una prospettiva positiva e quindi contraria a quella naturale mi costringeva, per esempio, a lunghi periodi di stitichezza e peggio ancora di impotenza, assecondare poi quelle emozioni, che per loro natura positive lo erano, metteva addirittura a rischio la mia vita.

Ad un anno circa dalla diagnosi, la mia vita si era radicalmente trasformata costringendomi ad un totale stato di apatia, il solo stato in cui potevo provare sollievo. Evitando ogni tipo di emozione divenni un non triste mai felice.

Oggi a ottantadue anni suonati, mentre tengo in mano il referto di queste mie ultimi analisi non riesco a non provare indignazione, odio, risentimento e rabbia per la leggerezza di quella prima diagnosi.

Anche se nel mio organismo e’ rimasta una leggera traccia di un infezione che mi aveva procurato in gioventù una gastrite da Helicobacter pyilori godo ora di ottima salute.

Mi consolo pero’ pensando di avere ancora davanti una vita ancora tutta da vivere.

5 Comments:

Raffaele ha detto...

Complimenti sembra una storia vera e probabilmente lo è! Guardare ad ogni costo gli episodi della vita in modo positivo può portare anche a uno stato di apatia, se non si conosce il male è difficile apprezzare il bene. Quindi conviene iniziare prima di avere 82 anni a vivere questa vita se vogliamo essere felici.

Augusta ha detto...

Ritratto creativo e artefatto di un uomo intrappolato nella propria esistenza che non si pone domande per conoscersi a fondo e capire le proprie reali esigenze ma va avanti come un automa in una vita apparentemente appagante ma forse troppo piatta e senza stimoli.
Una vita che lo porta prima alla malattia poi all'apatia, fenomeno piuttosto comune oggi.

pane71 ha detto...

A tutt' oggi ci sono troppi casi unici che non vengono considerati xchè contratte da persone meno abbienti. Sono felice x l'ottantaduenne che in faccia a tutto e a tutti vive ora felice.

Eli ha detto...

E si una volta alla settimana mi tocca raccontargli storie che lo emozionano o gli procurano eccitazione emotiva che è fatta...sono a posto per tutta la settimana.

Anonimo ha detto...

La fantasia di certo non ti manca.
Nel valore delle tue parole c’è sempre un tocco raffinato di eleganza, che ti distingue.
Lascia che le parole vengano senza forzarle, gli altri posso vedere più chiaro.
Un Amico fabbro.